Moralità e Amore coniugale in Amoris Laetitia


Riporto otto articoli usciti sul blog Come Gesù.

Una morale fondata sulla realtà

Con questo articolo, intendo cominciare una serie di interventi su temi di morale. Lo farò come potrebbe farlo un qualsiasi sacerdote, poiché ci tengo a ribadire che in questo blog sono ospitato come una persona qualunque, ed il titolo dato a questa sezione non l’ho scelto io, non essendo né professore di alcuna facoltà di teologia, né dottore in teologia morale. Inoltre, anche se spesso in questo blog vengono scritti articoli che io riterrei molto discutibili, se non apertamente contrari alla fede cattolica, non è di mia competenza intervenire anche se saltuariamente lo faccio.

Ritengo necessario affrontare un poco per volta le diverse questioni di morale, perché mi sembra importante cercare di chiarire bene i concetti che vengono utilizzati in questa parte della teologia, perché alcune parole possono essere mal interpretate a motivo dei significati che possono aver assunto in ambito letterario o anche nell’uso comune, e che possono discostarsi non poco dal significato che si attribuisce loro in questa scienza.

Sarebbe anacronistico insegnare la teologia morale solo alla luce della Sacra Scrittura, poiché con il passare dei secoli essa è stata arricchita dalla riflessione di tanti teologi, che hanno interpretato i passi della Sacra Scrittura alla luce anche della ragione, ed essa costituisce un corpo dottrinale nel quale ci sono insegnamenti molto consolidati e ritenuti per certi, con l’assistenza dello Spirito Santo, dal Magistero della Chiesa, accanto ad altre questioni secondarie lasciate tuttora alla discussione dei teologi.

La morale che da molti secoli è fatta propria dal Magistero della Chiesa non è una morale del dovere, o dell’imperativo categorico della legge, ma è una morale che si fonda sull’essere, sul capire prima “chi è” l’uomo, per poter poi valutare quali siano le azioni che lo rendono felice, perché l’azione buona è quella che procura all’uomo un bene ed una felicità che siano un arricchimento del suo essere.

Per questo alla base della morale c’è l’antropologia che si domanda come sia fatto l’uomo, quali bisogni abbia, quali facoltà possieda, quali siano le aspirazioni giuste che possa avere e quale sia il fine ultimo della sua vita.

Il Catechismo della Chiesa cattolica riassume in questi tre punti (1703-1705) la sua visione dell’uomo:

“Dotata di un’anima spirituale ed immortale, la persona umana è in terra « la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa ». Fin dal suo concepimento è destinata alla beatitudine eterna. La persona umana partecipa alla luce e alla forza dello Spirito divino. Grazie alla ragione è capace di comprendere l’ordine delle cose stabilito dal Creatore. Grazie alla volontà è capace di orientarsi da sé al suo vero bene. Trova la propria perfezione nel cercare e nell’amare il vero e il bene. In virtù della sua anima e delle sue potenze spirituali d’intelligenza e di volontà, l’uomo è dotato di libertà, « segno altissimo dell’immagine divina ».

Quindi, intelligenza per aspirare ad una conoscenza vera, volontà per cercare ed amare il vero bene e libertà che orienta i desideri e non è schiava di ciò che “sente” spontaneamente, ma ha “normalmente” la capacità di giudicare e discernere ciò che “esce dal suo cuore”.

Passioni e sentimenti

Abbiamo visto nell’articolo precedente che le facoltà specificamente umane sono l’intelligenza, la volontà e la libertà. Qual è dunque il posto delle passioni e dei sentimenti?

L’antropologia cristiana non nega l’importanza di queste espressioni della sensibilità umana, ma le inserisce all’interno di un ordine naturale che orienta tutto l’essere umano con le sue caratteristiche fisiche, psichiche e spirituali verso il suo fine ultimo che è la gloria di Dio.

L’interazione tra la luce naturale dell’intelligenza, la tendenza naturale verso il bene, la consapevolezza della propria libertà, l’ascolto della Parola di Dio, le ispirazioni dello Spirito Santo ed il giudizio interno della propria coscienza portano a riconoscere il valore “relativo” di ciò che viene percepito come piacevole dalla sensibilità, se contemporaneamente non viene riconosciuto come vero, come bene, come libero e come corrispondente alla Volontà di Dio e all’ispirazione dello Spirito Santo.

Riporto i punti del Catechismo corrispondenti a questo tema:

Per sentimenti o passioni si intendono le emozioni o moti della sensibilità, che spingono ad agire o a non agire in vista di ciò che è sentito o immaginato come buono o come cattivo. Le passioni sono componenti naturali dello psichismo umano; fanno da tramite e assicurano il legame tra la vita sensibile e la vita dello spirito. Nostro Signore indica il cuore dell’uomo come la sorgente da cui nasce il movimento delle passioni. Le passioni sono molte. Quella fondamentale è l’amore provocato dall’attrattiva del bene. L’amore suscita il desiderio del bene che non si ha e la speranza di conseguirlo. Questo movimento ha il suo termine nel piacere e nella gioia del bene posseduto. Il timore del male causa l’odio, l’avversione e lo spavento del male futuro. Questo movimento finisce nella tristezza del male presente o nella collera che vi si oppone. (CCC 1763-5)

Le passioni, in se stesse, non sono né buone né cattive. Non ricevono qualificazione morale se non nella misura in cui dipendono effettivamente dalla ragione e dalla volontà. […] E’ proprio della perfezione del bene morale o umano che le passioni siano regolate dalla ragione. Non sono i grandi sentimenti a decidere della moralità o della santità delle persone; essi sono la riserva inesauribile delle immagini e degli affetti nei quali si esprime la vita morale. Le passioni sono moralmente buone quando contribuiscono ad un’azione buona; sono cattive nel caso contrario. La volontà retta ordina al bene e alla beatitudine i moti sensibili che essa assume; la volontà cattiva cede alle passioni disordinate e le inasprisce. Le emozioni e i sentimenti possono essere assunti nelle virtù, o pervertiti nei vizi. Nella vita cristiana, lo Spirito Santo compie la sua opera mobilitando tutto l’essere, compresi i suoi dolori, i suoi timori e le sue tristezze, come è evidente nell’Agonia e nella Passione del Signore. In Cristo, i sentimenti umani possono ricevere la loro perfezione nella carità e nella beatitudine divina. La perfezione morale consiste nel fatto che l’uomo non sia indotto al bene soltanto dalla volontà, ma anche dal suo appetito sensibile, secondo queste parole del Salmo: “Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente”.(CCC 1767-70)

Questi punti del Catechismo mostrano come nelle azioni umane buone sia auspicabile un’armonia tra libertà, intelligenza, volontà e sensibilità; armonia che talvolta, a causa delle conseguenze del peccato originale, non si realizza con facilità e per questo possono sorgere conflitti interiori, che però costituiscono quella sana “lotta interiore” che cristianamente non può essere definita “repressione”.

Il collegamento non necessario tra il vero bene e le emozioni piacevoli, viene spesso ampiamente semplificato o sottaciuto dalla letteratura, dal cinema e dalla televisione. Quando si vuole dare un giudizio morale buono nei confronti di una certa situazione, risulta molto più coinvolgente descriverla con emozioni e sentimenti forti.

Il vero bene normalmente, anche se non necessariamente subito, procura anche emozioni e sentimenti piacevoli, ma non sempre è vero il contrario. Viceversa la semplificazione di mostrare un collegamento quasi automatico tra bene ed emozione piacevole risulta essere acquisito acriticamente, senza rendersi conto che esso è frutto di una decisione dell’autore che, o ha inventato la storia, o comunque ha scelto una situazione realmente accaduta, ma il cui valore morale non necessariamente è coerente con l’emozione descritta.

La continua riproposizione di situazioni di vita, con impliciti giudizi morali su di esse, attraverso il cinema e la televisione, influenza notevolmente la valutazione morale della gente: è una morale non enunciata attraverso giudizi o leggi, ma veicolata attraverso comportamenti che vengono implicitamente elogiati in quanto piacevoli, emozionanti, di successo, di moda.

Raccontare una storia coinvolgente, esaltando le emozioni del protagonista, è il modo classico per insegnare una morale senza essere tacciati di moralismo. Non dimentichiamo che anche Gesù insegnava in parabole. Ma al giorno d’oggi quali “parabole” ascoltiamo continuamente, e, soprattutto, quale morale viene esposta implicitamente? Tanti autori, anche tra quelli che poi si proclamano ufficialmente cristiani, espongono tutt’altro che la morale della Chiesa.

Un altro modo più raffinato di veicolare giudizi morali è quello della statistica, dell’indagine sociologica, del che cosa fa o che cosa pensa la gente comune. Anche in questi casi non si parla esplicitamente di morale, ma viene dato come indiscutibile che, raggiunte certe percentuali, una certa azione è “normale”, quindi naturale, quindi giusta, quindi “chi sei tu per dire che non è buona?”

Non si tratta di essere pessimisti od ottimisti, si tratta, per un cristiano, di riconoscere che la moralità di un’azione è altro rispetto al sentimento o alla “normalità statistica”; è il giudizio sul riconoscimento che la volontà è orientata al bene vero, che talvolta può non essere il più piacevole, né il più frequente dal punto di vista statistico. Si tratta di riconoscere che il giudizio morale sull’azione richiede riflessione, ricerca sincera della verità, coerenza di vita.

Seguire la coscienza

Prima di affrontare direttamente il tema della coscienza morale, vorrei esporre una sintesi di quanto già visto.

Per analizzare i diversi elementi che concorrono a determinare il giudizio morale sulle azioni umane, si è fatta una distinzione tra passioni, sentimenti, desideri, ragione, intuizione, ispirazioni, libertà e volontà, per chiarire quale sia il ruolo specifico di ciascuno di essi.

Tuttavia, nella vita questi elementi si danno contemporaneamente, e spesso, anche se non proprio tutti, si danno in ogni singola azione. La distinzione non serve a pensare che ci sia una contrapposizione tra di essi, ma solo a chiarire il ruolo di ogni elemento; anzi l’ideale sarebbe che nel compiere un’azione buona ci sia la concorrenza di tutti questi elementi: la volontà piena, il libero giudizio della ragione, il desiderio soddisfatto, il sentimento appagato e la passione che ne aumenta il piacere.

Nell’affrontare ora il tema del giudizio di coscienza è bene tener presente che spesso nei dibattiti mediatici si tende ad accogliere superficialmente come giudizio di coscienza qualsiasi opinione personale, un “secondo me” che può essere semplice conseguenza di chiusura in se stessi, poca disponibilità ad accogliere punti di vista differenti, mancanza di riflessione e di autentico dialogo.

Il catechismo, nel parlare della coscienza dice che: “l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce […] lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male”(CCC 1776); la coscienza “attesta l’autorità della verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l’attrattiva ed accoglie i comandi”(CCC 1777). “L’importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se stesso al fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale ricerca di interiorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita spesso ci mette in condizione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o introspezione”(CCC 1779).

Il concreto giudizio morale sulle proprie azioni deve essere frutto di una ricerca sincera della verità e di una apertura alla riflessione fatta con una ragione libera e retta, non condizionata dalle passioni. Per questo si dice:

“L’uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà, per prendere personalmente le decisioni morali. L’uomo non deve essere costretto “ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso” [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 3]. La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato. […] Essa formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore. L’educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani esposti a influenze negative e tentati dal peccato a preferire il loro proprio giudizio e a rifiutare gli insegnamenti certi. L’educazione della coscienza è un compito di tutta la vita. […] Un’educazione prudente insegna la virtù; preserva o guarisce dalla paura, dall’egoismo e dall’orgoglio, dai risentimenti della colpevolezza e dai moti di compiacenza, che nascono dalla debolezza e dagli sbagli umani. L’educazione della coscienza garantisce la libertà e genera la pace del cuore”(CCC 1782-4).

Può tuttavia succedere che la coscienza formuli un giudizio erroneo:

“All’origine delle deviazioni del giudizio nella condotta morale possono esserci la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi dati dagli altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa ad una malintesa autonomia della coscienza, il rifiuto dell’autorità della Chiesa e del suo insegnamento, la mancanza di conversione e di caritàSe - al contrario - l’ignoranza è invincibile, o il giudizio erroneo è senza responsabilità da parte del soggetto morale, il male commesso dalla persona non può esserle imputato. Nondimeno resta un male, una privazione, un disordine. E’ quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori” (CCC 1792-3).

Direi quindi che ci sono molti elementi sui quali ciascuno di noi è chiamato a riflettere e meditare, prima di poter affermare di “avere coscienza” di ciò che si sta affermando o facendo. Anche se fosse vero, se ciò che poi si fa è male, la colpevolezza non ci sarebbe, ma le conseguenze del male resterebbero tutte.

Evidentemente il giudizio definitivo sarà quello di Dio, davanti al quale ci sarà ben poco da dissimulare. Però, a questo punto, nell’allontanarsi da ciò che la Chiesa insegna esplicitamente, è importante distinguere tra chi si dichiara “cattolico”, quindi non isolato, ma partecipe di una comunità gerarchicamente strutturata, Corpo Mistico di Cristo, e vivificata dallo Spirito Santo, e chi invece si ritiene un “più o meno credente” qualsiasi (che non per questo perde la sua dignità ed il suo bisogno di salvezza).

Nel secondo caso, se ci allontana dall’insegnamento della Chiesa, di che cosa ci si proclamerebbe testimoni, anche con tutta umiltà? Solo di se stessi e delle proprie idee (di un Gesù Cristo “secondo me”, che non è quello della Chiesa).

Basta non far male agli altri

“Ognuno deve essere libero di fare qualsiasi cosa, purché non faccia del male al prossimo”.

Spesso sui media, e anche su questo blog, viene proposta come unica morale ragionevole quella condensata nella frase riportata sopra. Evidentemente questa proposta ha le sue ragioni, ma è fortemente deficitaria sia rispetto alla legge civile, che, soprattutto, rispetto al Vangelo.

Riguardo alla legge civile, la salvaguardia del bene comune non può essere ridotta alla regola di non danneggiare il prossimo, altrimenti perderebbero di senso: le tasse, i doveri civili, i limiti all’uso arbitrario della proprietà, ecc… tutte cose che prescrivono azioni utili e necessarie per il bene comune, la cui omissione, pur non recando alcun danno diretto al prossimo, sarebbe un’ingiustizia per il bene della società.

Venendo invece alla teologia morale, fondata sulla Sacra Scrittura, che giudica la bontà delle azioni dell’uomo alla luce della fede e della ragione, essa distingue diversi tipi di azioni, sia esterne che interne: pensieri, desideri, omissioni, parole, opere. Il fine della morale è quello di valutare il valore delle azioni, per il conseguimento della felicità propria e altrui, in coerenza con la dignità della persona umana.

Nel Vangelo, Gesù stesso ci parla di peccati di pensieri , di desideri e di omissioni, per cui il solo criterio di non far del male agli altri è molto inadeguato: nella parabola dei talenti, l’ultimo servo che aveva ricevuto un solo talento non ha fatto niente di male; nella parabola delle vergini, le vergini stolte sono state solo distratte, senza far male a nessuno; il ricco che aveva avuto un buon raccolto e voleva costruire nuovi granai, non ha fatto niente di male al prossimo; il ricco epulone banchettava tutti i giorni e vestiva con lusso, ma … si faceva i fatti suoi; anche il figliol prodigo in fondo ha speso nei divertimenti solo la sua parte di eredità: non poteva fare ciò che voleva con i suoi soldi? D’altra parte anche lo spendere tutti i soldi in prostitute, se l’unica morale fosse non fare del male al prossimo, non sarebbe un male, perché entrambi hanno avuto il loro interesse, l’uno il piacere e l’altra i soldi.

Gesù dice inoltre di non guardare una donna sposata, per desiderarla, per non commettere adulterio con lei nel cuore: non c’è alcun danno immediato a nessuno …  e potrei continuare con altri esempi.

Avendo come fine la vera gioia e la vera felicità dell’uomo, la morale cristiana, che non coincide con l’obbligatorietà di una legge civile, indica di perseguire il bene pieno della persona, in armonia con il proprio essere, per questo la temperanza insegna a moderare gli appetiti sensibili per essere capaci di valutare correttamente e ordinare i diversi beni, senza esagerazioni immotivate, per essere capaci di amare anche quando questo costa fatica.

Per questo la morale cristiana valuta negativamente ciò che è pura ricerca di un piacere, se ad esso non segue alcun bene per la persona (e più in generale neanche per gli altri), perché questa ricerca del piacere in se stesso è degradante per la dignità della persona. A questo si può aggiungere che l’intemperanza porta con sé conseguenze nella vita della persona che forse non si mostrano immediatamente dopo ogni atto, ma prima o poi si manifestano in comportamenti cattivi.

I sentimenti nell’amore coniugale

Dopo aver cercato di chiarire i termini usati in teologia morale, penso sia giunto il momento di affrontare il commento di alcuni passi di Amoris Laetitia che riguardano l’amore coniugale:

 “Il Concilio Vaticano II ha insegnato che questo amore coniugale «abbraccia il bene di tutta la persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell’amicizia coniugale». Ci deve essere qualche ragione per il fatto che un amore senza piacere né passione non è sufficiente a simboleggiare l’unione del cuore umano con Dio: «Tutti i mistici hanno affermato che l’amore soprannaturale e l’amore celeste trovano i simboli di cui vanno alla ricerca nell’amore matrimoniale, più che nell’amicizia, più che nel sentimento filiale o nella dedizione a una causa. E il motivo risiede giustamente nella sua totalità». Perché allora non soffermarci a parlare dei sentimenti e della sessualità nel matrimonio?” (Amoris Laetitia, n.142)

“Desideri, sentimenti, emozioni, quello che i classici chiamavano “passioni”, occupano un posto importante nel matrimonio. Si generano quando un “altro” si fa presente e si manifesta nella propria vita. è proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra realtà, e questa tendenza presenta sempre segni affettivi basilari: il piacere o il dolore, la gioia o la pena, la tenerezza o il timore. Sono il presupposto dell’attività psicologica più elementare. L’essere umano è un vivente di questa terra e tutto quello che fa e cerca è carico di passioni.” (AL 143)

“Gesù, come vero uomo, viveva le cose con una carica di emotività. Perciò lo addolorava il rifiuto di Gerusalemme (cfr Mt 23,37) e questa situazione gli faceva versare lacrime (cfr Lc 19,41). Ugualmente provava compassione di fronte alla sofferenza della gente (cfr Mc 6,34). Vedendo piangere gli altri si commuoveva e si turbava (cfr Gv 11,33), ed Egli stesso pianse la morte di un amico (cfr Gv 11,35). Queste manifestazioni della sua sensibilità mostravano fino a che punto il suo cuore umano era aperto agli altri.” (AL 144)

Questi primi punti mostrano l’importanza delle passioni per ogni uomo nei suoi rapporti con gli altri e quanto queste passioni possano favorire, accompagnando ed arricchendo con la sensibilità, le azioni buone compiute nelle relazioni con gli altri; ma non sempre le emozioni e i sentimenti si accordano con il bene. Questo è un dato di fatto che tutti possono sperimentare nella propria vita: talvolta una buona azione non piace o ci lascia indifferenti e, viceversa, un’azione cattiva non ci dispiacerebbe e addirittura ci attrae. Per questo Amoris Laetitia prosegue:

“Provare un’emozione non è qualcosa di moralmente buono o cattivo per sé stesso. Incominciare a provare desiderio o rifiuto non è peccaminoso né riprovevole. Quello che è bene o male è l’atto che uno compie spinto o accompagnato da una passione. Ma se i sentimenti sono alimentati, ricercati e a causa di essi commettiamo cattive azioni, il male sta nella decisione di alimentarli e negli atti cattivi che ne conseguono. Sulla stessa linea, provare piacere per qualcuno non è di per sé un bene. Se con tale piacere io faccio in modo che quella persona diventi mia schiava, il sentimento sarà al servizio del mio egoismo. Credere che siamo buoni solo perché “proviamo dei sentimenti” è un tremendo inganno. Ci sono persone che si sentono capaci di un grande amore solo perché hanno una grande necessità di affetto, però non sono in grado di lottare per la felicità degli altri e vivono rinchiusi nei propri desideri. In tal caso i sentimenti distolgono dai grandi valori e nascondono un egocentrismo che non rende possibile coltivare una vita in famiglia sana e felice.” (AL 145)

Come si vede, Amoris Laetitia non insegna una “nuova morale”, ma nel solco della tradizione bimillenaria della Chiesa, come vedremo anche oltre, mette in risalto la componente umana, sensibile e psicologica dell’amore, ma inquadra comunque l’amore coniugale in una prospettiva reale e completa, come un atto pienamente libero e volontario, alimentato dalle passioni, quando queste ci aiutano a conseguire il vero bene dell’altro, in armonia con la sua dignità di persona.

Il piacere nell’amore coniugale

Una certa concezione troppo “severa” dell’amore coniugale aveva portato forse ad accentuare i rischi e i pericoli della passione incontrollata, per cui la passione stessa, le emozioni e i sentimenti, erano visti, più che come qualcosa di positivo che accompagnava le azioni buone, come qualcosa che ne poteva facilmente sviare il fine buono, per un desiderio eccessivo di un piacere fine a se stesso. Ma la visione corretta della relazione tra passione, piacere ed amore viene ribadita da questi punti di Amoris Laetitia:

“[…] Se una passione accompagna l’atto libero, può manifestare la profondità di quella scelta. L’amore matrimoniale porta a fare in modo che tutta la vita emotiva diventi un bene per la famiglia e sia al servizio della vita in comune. La maturità giunge in una famiglia quando la vita emotiva dei suoi membri si trasforma in una sensibilità che non domina né oscura le grandi opzioni e i valori ma che asseconda la loro libertà, sorge da essa, la arricchisce, la abbellisce e la rende più armoniosa per il bene di tutti. Questo richiede un cammino pedagogico, un processo che comporta delle rinunce. è una convinzione della Chiesa che molte volte è stata rifiutata, come se fosse nemica della felicità umana. Benedetto XVI ha raccolto questo interrogativo con grande chiarezza: «La Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?». Ma egli rispondeva che, seppure non sono mancati nel cristianesimo esagerazioni o ascetismi deviati, l’insegnamento ufficiale della Chiesa, fedele alle Scritture, non ha rifiutato «l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell’eros [...] lo priva della sua dignità, lo disumanizza».” (AL 146, 147)

Le emozioni, i sentimenti e le passioni possono essere orientati al vero bene reciproco dei coniugi e di tutta la famiglia, purché si abbia chiaro che questi devono essere disciplinati dalla volontà libera, che talvolta può essere chiamata a limitarli e regolarli, talaltra invece ad assecondarli.

“L’educazione dell’emotività e dell’istinto è necessaria, e a tal fine a volte è indispensabile porsi qualche limite. L’eccesso, la mancanza di controllo, l’ossessione per un solo tipo di piaceri, finiscono per debilitare e far ammalare lo stesso piacere, e danneggiano la vita della famiglia. In realtà si può compiere un bel cammino con le passioni, il che significa orientarle sempre più in un progetto di autodonazione e di piena realizzazione di sé che arricchisce le relazioni interpersonali in seno alla famiglia. Non implica rinunciare ad istanti di intensa gioia, ma assumerli in un intreccio con altri momenti di generosa dedizione, di speranza paziente, di inevitabile stanchezza, di sforzo per un ideale. La vita in famiglia è tutto questo e merita di essere vissuta interamente.” (AL 148)

Non si tratta quindi di pensare che l’amore coniugale cristiano si debba limitare ad un’esecuzione fredda di un “debito coniugale”, ma, al contrario, l’amore deve portare ad arricchire la relazione con gesti di autentico affetto, che, attraverso la costanza e la pazienza, riesce a superare l’eventuale stanchezza od abitudine, trovando forme nuove di espressione che ringiovaniscono la relazione anche con il passare degli anni.

“Alcune correnti spirituali insistono sull’eliminare il desiderio per liberarsi dal dolore. Ma noi crediamo che Dio ama la gioia dell’essere umano, che Egli ha creato tutto «perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17). Lasciamo sgorgare la gioia di fronte alla sua tenerezza quando ci propone: «Figlio, trattati bene […]. Non privarti di un giorno felice» (Sir 14,11.14). Anche una coppia di coniugi risponde alla volontà di Dio seguendo questo invito biblico: «Nel giorno lieto sta’ allegro» (Qo 7,14). La questione è avere la libertà per accettare che il piacere trovi altre forme di espressione nei diversi momenti della vita, secondo le necessità del reciproco amore. In tal senso, si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali che insistono sull’allargare la coscienza, per non rimanere prigionieri in un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive. Tale ampliamento della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio, bensì la sua dilatazione e il suo perfezionamento.” (AL 149)

Il piacere in se stesso non è un male, per questo, anche nel punto 149 di Amoris Laetitia non si scende in esempi da casuistica, ma si lascia intendere che, se il piacere è orientato al bene delle persone e non ne stravolge la dignità, può trovare diverse espressioni nelle diverse situazioni concrete della vita coniugale; ma la ricerca del piacere non può essere svincolata dal significato intrinseco dei gesti che lo procurano.

L’eros nell’amore coniugale

Nell’ambito di una corretta antropologia, che non separa sentimenti, emozioni e piacere dal vero bene della persona, ma che li armonizza ed integra reciprocamente attraverso l’educazione e l’autocontrollo, vediamo come anche l’eros, amore appassionato e piacevole, non sia in contrasto con l’amore coniugale:

“[…] Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. Quando la si coltiva e si evita che manchi di controllo, è per impedire che si verifichi «l’impoverimento di un valore autentico»San Giovanni Paolo II ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a «una negazione del valore del sesso umano» o che semplicemente lo tolleri «per la necessità stessa della procreazione». Il bisogno sessuale degli sposi non è oggetto di disprezzo e «non si tratta in alcun modo di mettere in questione quel bisogno». A coloro che temono che con l’educazione delle passioni e della sessualità si pregiudichi la spontaneità dell’amore sessuato, san Giovanni Paolo II rispondeva che l’essere umano è «chiamato alla piena e matura spontaneità dei rapporti», che «è il graduale frutto del discernimento degli impulsi del proprio cuore». è qualcosa che si conquista, dal momento che ogni essere umano «deve con perseveranza e coerenza imparare che cosa è il significato del corpo». La sessualità non è una risorsa per gratificare o intrattenere, dal momento che è un linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio, con il suo sacro e inviolabile valore. In tal modo «il cuore umano diviene partecipe, per così dire, di un’altra spontaneità». In questo contesto, l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità. In esso si può ritrovare «il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono» Nelle sue catechesi sulla teologia del corpo umano, san Giovanni Paolo II ha insegnato che la corporeità sessuata «è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione», ma possiede «la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono»L’erotismo più sano, sebbene sia unito a una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può umanizzare gli impulsi.” (150,151)

Questi due punti di Amoris Laetitia mostrano da una parte la bellezza della spontaneità e della passione nel rapporto coniugale, ma dall’altra richiamano ad un’educazione che non perda mai di vista il significato intrinseco dei gesti del corpo, che non possono essere assunti come finzione a cui viene tolto il significato proprio. Per questo viene ribadito, tra l’altro, l’insegnamento di non separabilità del valore unitivo da quello procreativo, che in questo punto è solo accennato, ma in altri è ribadito esplicitamente.

“Pertanto, in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi. Trattandosi di una passione sublimata dall’amore che ammira la dignità dell’altro, diventa una «piena e limpidissima affermazione d’amore» che ci mostra di quali meraviglie è capace il cuore umano, e così per un momento «si percepisce che l’esistenza umana è stata un successo».” (152)

Come è ribadito spesso nelle Catechesi di san Giovanni Paolo II, che in questi punti sono richiamate, la dimensione corporea dei gesti ha un significato proprio, che arricchisce, con le emozioni ed i sentimenti, il gesto stesso, che è pienamente umano sotto tutti i punti di vista, perché libero, volontario, consapevole, piacevole e appagante per entrambi.

Riguardo alla dimensione procreativa, ricordo che l’insegnamento della Chiesa non la impone come necessaria positivamente ed attualmente in ogni atto coniugale, ma di “non escluderla volontariamente” con mezzi contraccettivi, pertanto laddove mancasse una fecondità naturale, non per questo sarebbe necessario astenersi dai rapporti coniugali.

Due in una sola carne

A conclusione delle considerazioni fatte sui passi di Amoris Laetitia che parlano di amore coniugale, ritengo utile richiamare brevemente il motivo per cui San Tommaso d’Aquino diceva che: “Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio per noi. Anche Dio, infatti, è comunione: le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo vivono da sempre e per sempre in unità perfetta. Ed è proprio questo il mistero del Matrimonio: Dio fa dei due sposi una sola esistenza”.

Queste parole sono state richiamate spesso dai Papi recenti e sono richiamate anche in Amoris Laetitia al n. 121. Inoltre, come dice San Paolo nella lettera agli Efesini, l’amore dello sposo per la sposa deve essere simile a quello di Gesù per la Chiesa (Che dà la vita per Lei).

Ritengo che il motivo di tali affermazioni risieda in tanti passi dell’Antico Testamento in cui si parla dell’Amore di Dio per il suo popolo, come di un amore fedele per la sua sposa, e soprattutto sulle parole di Gesù, riportate nel Vangelo di Matteo: «Non avete letto che il Creatore, da principio, li creò maschio e femmina e che disse: "Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre, e si unirà con sua moglie, e i due saranno una sola carne"? Così non sono più due, ma una sola carne; quello dunque che Dio ha unito, l’uomo non lo separi» (Mt 19, 4-6)

Queste parole della Sacra Scrittura e del Vangelo svelano il senso dell’amore coniugale come un “disegno di Dio” fin “da principio”, inscritto quindi nella “natura dell’uomo”, creata con una differenza sessuale orientata all’unità, feconda e indissolubile, vivificata da un amore fedele e stabile; questo amore a cui l’uomo è chiamato per realizzare questo disegno è anche immagine dell’Amore Trinitario e dell’Amore di Cristo per la Chiesa. Questo è evidentemente un processo dinamico, non qualcosa di già presente, ma che, a partire dalle imperfezioni e debolezze presenti in tutti, può crescere e migliorare con il tempo, essendo i coniugi, per questo scopo, sostenuti anche dalla Grazia.

Questo non impedisce che si possa pensare all’Amore di Dio per ciascuno di noi come all’Amore di un Padre o anche di una Madre per un figlio, ma è, al contrario, il Mistero dell’Amore coniugale che non può essere svilito e paragonato ad altri tipi di unioni, più o meno appassionate, spontanee o volontarie, ma inadeguate a compiere e realizzare “il disegno di Dio” per l’uomo e la donna, che invece è chiamato a realizzare un’unione così straordinaria, tale da essere “a somiglianza” dell’Amore Trinitario.